Puntare sui biogas di derivazione vegetale
per ottimizzare i rendimenti e rispettare l’ambiente
La
cosiddetta “agroenergia” non soltanto costituisce il modello concreto
e alternativo per la produzione di energia, ma ha la prospettiva di
risollevare il settore agricolo, che in Italia è ormai in profonda
crisi
Finalmente
anche in Italia le energie alternative assumono consistenza attuativa,
nel dibattito sociale, in quello politico e, situazione nuova che ci
sorprende favorevolmente, con provvedimenti di legge che si succedono
con rapidità incessante.
L’energia
fotovoltaica ed i pannelli solari termici stanno iniziando a far lenta
comparsa sui tetti delle case, con un ventennio di ritardo rispetto
ad altri paesi del nord ben meno esposti al sole rispetto a noi. Intanto
i consumi di energia elettrica sono in costante aumento, in un circolo
vizioso che vede da un lato l’innalzamento costante della temperatura
terrestre, e dall’altro l’esigenza di uno pseudo-livello di qualità
della vita che, rasentando la maniacalità, implica la climatizzazione
estiva ovunque.
Libertà e democrazia, si sa, hanno costi elevati, soprattutto
sociali ed ambientali, per cui non esiste altra soluzione che favorire
scelte tecnologiche volte a ottimizzare i rendimenti e cercare di produrre
energia che abbia il minore impatto ambientale possibile e che consenta
sostenibilità nel tempo sotto i vari profili.
Con l’inizio del declino della produzione di combustibili fossili e
con la loro riscontrata elevata impattività ambientale, finalmente
il nostro paese sperimenta tra le energie alternative anche le fonti
ricavabili dall’agricoltura. La cosiddetta “agroenergia” non soltanto
costituisce il modello concreto e alternativo per la produzione di energia,
ma ha la prospettiva di risollevare il settore agricolo, che in Italia
è ormai in profonda crisi da almeno un ventennio. Ma cosa si
può ricavare dall’agroenergia? Essenzialmente quattro diverse
soluzioni:
1) la produzione
di biocarburanti, quali:
a) il biodiesel, che è un biocombustibile liquido, trasparente
e di colore ambrato, ottenuto interamente da olio vegetale (colza, girasole
o altri), in grado di sostituire il comune gasolio;
b) il bioetanolo, che è etanolo prodotto mediante un processo
di fermentazione dei prodotti agricoli ricchi di zucchero quali i cereali,
le colture zuccherine, gli amidacei e le vinacce, e che può essere
utilizzato nelle benzine con percentuali più o meno elevate in
ragione del tipo di motore;
2) la combustione di masse vegetali con conseguente generazione di energia;
3) la produzione di biogas a seguito di digestione anaerobica di deiezioni
zootecniche, di liquami, e di altri residui provenienti da allevamenti
di animali, con conseguente generazione di energia;
4) la produzione di biogas a seguito di fermentazione batterica di vegetali
appositamente coltivati con conseguente generazione di energia.
Quest’ultima tecnica è in assoluto la più innovativa,
perché è in sostanza un ciclo chiuso, dal terreno che
produce vegetali, al terreno che riceve i residui costituiti dal compost,
e l’energia elettrica e termica ricavate sono un surplus a bassissimo
impatto ambientale.
La
prima esperienza in Italia
La prima costruzione in Italia di questo genere è in corso di
realizzazione nella frazione di Ganzanigo posta in Comune di Medicina,
in provincia di Bologna. Giusto dare benemerenza al coraggio imprenditoriale
della Società Agricola Cazzani s.s. che, senza alcun contributo
e sfidando le severe maglie della burocrazia, sta portando avanti questa
rischiosa impresa innovativa di grande meritorietà sociale.
La progettazione è avvenuta partendo da un viaggio in Germania
durante il quale furono visitati diversi impianti dello stesso genere
(ma di minori dimensioni) gestiti direttamente da agricoltori. Successivamente
è stato perfezionato lo studio di fattibilità facendo
riferimento ad un impianto pilota che si trova in Austria all’interno
di una base aerea, installato tranquillamente di fianco alle case degli
ufficiali.
La progettazione dell’impianto in oggetto è stata sviluppata
attenendosi alle norme UNI 10458 – Impianti per la produzione di
gas biologico (biogas). Classificazione, requisiti, regole per la costruzione,
l’offerta, l’ordinazione e il collaudo di cui alla deliberazione del
26 giugno 1995.
La
fonte rinnovabile destinata ad alimentare l’impianto è costituita
da insilati di mais, che, dopo lo stoccaggio, vengono introdotti in
un processo biologico spontaneo che genera biogas contenente una concentrazione
di metano attorno al 51%, il quale a sua volta alimenta normali cogeneratori
per la produzione di energia elettrica e termica. In definitiva, la
produzione di energia elettrica deriva dalla fermentazione di biomasse
a tale scopo appositamente coltivate.
La fermentazione è prodotta con gli stessi batteri che si trovano
nell’apparato digerente dei bovini, cioè un naturale processo
di digestione in ambiente anaerobico ottenuta grazie a una tecnologia
specificatamente sviluppata.
Beninteso che è stata una scelta ecologica l’immissione del mais,
al fine di sfruttare le distese agricole della pianura padana e la professionalità
degli operatori, potendo in realtà l’impianto impiegare nella
digestione un’ampia gamma di materie, che vanno dai cereali ai residui
vegetali provenienti dall’agricoltura o dalle industrie connesse, dagli
olii vegetali esausti a qualunque tipo di rifiuto organico selezionato.
L’impianto partirà con una potenza elettrica nominale di 1.416
kW, per una produzione lorda annua di 11.750.000 kWh (10.600.000 kWh
nette in rete) ottenuta impiegando circa 30.000 tonnellate di insilati
di mais. La potenzialità dell’impianto è tale da consentire
in modo agevole ampliamenti fino a oltre i 4 MW.
Oltre all’energia elettrica che sarà integralmente reimmessa
nella rete dell’ENEL alla tensione di 15 kV tramite la costruzione di
un elettrodotto lungo circa 2 km, l’impianto ha disponibilità
per erogazione di energia termica per una quantità pari a oltre
la metà rispetto a quella elettrica.
Il processo di produzione di biogas mediante digestori anaerobici è
un processo di conversione di tipo biologico che avviene in assenza
di ossigeno e consiste nella demolizione, ad opera di micro-organismi,
di sostanze organiche complesse (lipidi, protidi, glucidi) contenute
nei vegetali.
Si sottolinea che non è necessaria alcuna operazione per stimolare
la digestione anaerobica: non è prevista la combustione; e nemmeno
è necessario generare artificialmente pressioni di alcun genere.
Anche per quanto riguarda la temperatura, non occorre che essa raggiunga
valori elevati. Anzi, la temperatura che si produce quasi spontaneamente
all’interno del biodigestore è fra i 38 e i 53 gradi centigradi;
tale stabilizzazione si ottiene riciclando l’acqua di raffreddamento
proveniente dai cogeneratori di elettricità.
Di fatto, si può immaginare il biodigestore come una enorme mucca,
alla quale occorre dare da mangiare in modo appropriato affinché
produca efficientemente il biogas. Questo testimonia inequivocabilmente
della naturalità e della assoluta sicurezza del processo produttivo,
il quale non necessita di particolari e pericolose lavorazioni. Il processo
di fermentazione è determinato da batteri mesofili, i quali producono
il biogas digerendo la biomassa attraverso un processo anaerobico.
Dovendo avvenire in assenza di aria, il processo biologico è
assolutamente privo di odori.
Nel ciclo produttivo si possono individuare 5 fasi:
1. produzione e stoccaggio delle biomasse;
2. processo di digestione anaerobica;
3. stoccaggio e trattamento del biogas;
4. produzione dell’energia elettrica;
5. smaltimento della biomassa digerita.
La
produzione dalla biomassa
L’alimentazione dell’impianto richiederà circa 30.000 tonnellate
all’anno di biomassa vegetale, che deriveranno dalla coltivazione di
circa 430 ettari di terreno. Per biomassa vegetale s’intende in particolare
il mais ceroso, cioè il mais ancora acerbo, per cui 30.000 tonnellate
equivalgono a 5.000 di mais maturo (rapporto di massa 6 a 1 rispetto
al prodotto insilato).
Trattandosi di produzione “no-food”, non sono necessari gli interventi
antiparassitari richiesti per produzioni destinate al consumo umano,
e ciò porta a un minore impatto sull’ambiente. Questa impostazione
produttiva costituisce una forte motivazione per l’imprenditore agricolo,
il quale ha la convenienza a non sostenere costi inutili. L’intera produzione
agricola deve essere raccolta in un arco temporale di 20/25 giorni e
immagazzinata con un’azione di pressatura per ridurre al minimo la presenza
di ossigeno che favorirebbe l’avvio della fermentazione al di fuori
dei biodigestori.
Si valuta anche che l’ampliamento della gamma di insilati cerealicoli
impiegabili consentirebbe di disarticolare il momento della raccolta
e stoccaggio rispetto a quanto ora previsto, perché tipologie
diverse di produzione offrirebbero differenti periodi di raccolto.
Una volta introdotta nel biodigestore, la biomassa inizia la fermentazione
anaerobica, stazionando nell’impianto per un periodo della durata media
di 62 giorni. L’impianto funzionerà in continuo per 24 ore al
giorno per tutto l’anno, raggiungendo una produzione complessiva di
biogas di circa 5.500.000 metri cubi l’anno.
Il biogas viene stoccato in apposite cupole e in seguito raffinato dalle
impurità con un sistema di desolforizzazione e raffreddamento.
In questo modo arriva al cogeneratore un metano molto pulito.
Il cogeneratore è semplicemente un gruppo elettrogeno, cioè
un motore alimentato a gas metano accoppiato meccanicamente con un alternatore
che produce energia elettrica, che inoltre consente il recupero del
calore disperso dall’olio lubrificante, dall’acqua di raffreddamento
e dai fumi di espulsione. Ultimato il processo di digestione, la biomassa
si presenta come una materia semiliquida, inodore, con una presenza
di elemento solido pari a circa il 12%. Con un’apposita apparecchiatura
meccanica si provvederà a separare la frazione solida da quella
liquida. Entrambe le frazioni così separate costituiscono un
ottimo ammendante per i terreni, in quanto al termine del processo di
fermentazione si conservano integri i principali elementi nutritivi
(azoto, fosforo e potassio) già presenti nella materia prima
favorendo con ciò la mineralizzazione dell’azoto organico. Vi
sono però differenze sostanziali tra i due elementi così
ottenuti. La
frazione solida contiene l’azoto in una forma a più lento rilascio;
essa pertanto fornisce il massimo beneficio se ricollocata in campo
in autunno, durante la preparazione dei terreni, contribuendo così
in misura significativa a migliorarne la struttura e a reintegrarne
la fertilità. L’azoto contenuto nella frazione liquida è
invece direttamente utilizzabile dalle piante; ne deriva l’opportunità
di collocarlo in campo quando le colture sono già in fase vegetativa.
Si prevede di collocare tale ammendante sui medesimi terreni che hanno
prodotto gli insilati; poiché la presenza di azoto è di
circa 4 grammi per ogni chilogrammo e si prevede di collocare circa
65 tonnellate di ammendante per ettaro, la quantità di azoto
complessiva riportata in campo è pari a circa 260 kg per ettaro.
Va tenuto presente che la coltivazione del mais comporta la collocazione
in campo di circa 315 tonnellate per ettaro. Ne deriva pertanto la sostituzione
di circa l’82% dei concimi chimici comunemente usati.
Il
bilancio ambientale
Il generatore dell’energia elettrica, previsto in un corpo unico dentro
un container già assemblato, provvederà alla cessione
in rete di circa 11.750 MWh di elettricità all’anno (dopo trasformazione
da 400 V a 15 kV), ed alla generazione di 8.000 MWh termici. Tenendo
conto che ogni cittadino consuma mediamente – nel nostro contesto economico
e sociale – poco più di 2.800 kWh l’anno, significa soddisfare
le esigenze di quasi 4.000 abitanti. Inoltre, poiché l’equivalenza
ufficiale considera che una Tonnellata Equivalente di Petrolio (TEP)
produca 10 MWh, deriva che l’impianto in progetto porterà ad
un risparmio di 1.100 TEP l’anno, risultato di sicuro interesse.
Per calcolare correttamente il contributo che l’impianto in progetto
porta al bilancio ambientale, occorre partire dalla consapevolezza che
la combustione del biogas nel processo di produzione di energia elettrica
re-immette in atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica
(CO2) che il mais aveva durante la crescita. Invero, la letteratura
in materia indica una CO2 re-immessa in atmosfera inferiore a quella
assorbita dalle piante durante la crescita. Vi è dunque – ed
è dimostrato – una precipitazione del carbonio durante il processo
digestivo; carbonio che resta imprigionato nell’ammendante successivamente
ricollocato in campo. Ma poiché la percentuale di carbonio trattenuto
non è precisamente quantificata, si preferisce qui evitarne la
considerazione.
Dunque,
con l’impiego del biogas per la produzione di energia elettrica non
si toglie e non si aggiunge nulla al CO2 presente in atmosfera. Per
questo si può parlare di “neutralità”, di “invarianza”
del bilancio ambientale.
L’effettivo e concreto contributo positivo al bilancio ambientale deriva
piuttosto dal così detto “costo evitato”, vale a dire dal fatto
che la generazione con l’impianto in progetto consente di evitare che
tale energia debba essere prodotta con un impianto tradizionale, a combustibili
fossili.
Infatti, una centrale a metano comporta l’emissione in atmosfera di
CO2 aggiuntivo, prima non presente in atmosfera, di 605 grammi per ogni
chilowattora prodotto. Ciò significa, con riferimento all’impianto
in progetto, un risparmio sul bilancio ambientale di 6.600 tonnellate
l’anno di CO2. Prevedendo una durata dell’impianto di almeno 20 anni,
si tratta di un risparmio di anidride carbonica in atmosfera pari a
132.000 tonnellate.
Le ragioni appena illustrate sono a fondamento dell’indirizzo strategico
che vede nell’impiego delle biomasse vegetali uno dei più efficienti
sistemi per ridurre le emissioni di gas serra, in attuazione degli accordi
di Kyoto del 1998. Il diagramma di flusso a seguire rappresenta sinteticamente
il bilancio ambientale integrato dell’impianto.
Il
contesto paesaggistico e ambientale
Una estrema cura è stata posta nelle opere esterne di completamento,
per garantire che l’impianto si inserisca con la necessaria armonia
nel contesto agreste di contorno.
Innanzi tutto le strutture di maggiori dimensioni, quali i di gestori
e la vasca di stoccaggio finale, sono interrate per circa due metri,
accorgimento che naturalmente riduce l’impatto visivo dell’impianto
nel suo complesso. Sui tre lati dell’area sono previsti dei rincalzi
in terra che richiamano gli argini dei canali di bonifica, una forma
piuttosto comune nel contesto paesaggistico della pianura Padana; tali
rincalzi sono piantumati con essenze arboree di vario genere per creare
un effetto di riempimento boschivo.
Puntare sui biogas di derivazione vegetale per ottimizzare i rendimenti
e rispettare l’ambiente Sul un antro lato l’elemento predominante è
il canneto dell’impianto di fitodepurazione, integrato dalla presenza
di piante e cespugli.
Tutte le essenze arboree poste a dimora per valorizzare in termini naturalistici
il contesto impiantistico sono selezionate all’interno dell’elenco stabilito
dalla regolamentazione locale. Nell’insieme le soluzioni naturalistiche
progettate danno luogo a una connotazione boschiva in qualche misura
provocatoria, rispetto a un’area che si caratterizza per l’assenza di
piante, in quanto in un cotesto tipicamente agricolo a coltura intensiva.
Ma
il problema più importante d’inserimento di un impianto di produzione
energetica da biogas da derivazione vegetale è costituito dalle
immissione acustiche verso i ricettori sensibili, cioè le abitazioni
più prossime alla collocazione dell’impianto.
Delle diverse parti dell’impianto, che è un sistema tecnologico
molto articolato, quella che costituisce la principale fonte di produzione
di fenomeni acustici è il cogeneratore dell’energia elettrica,
al cui confronto, le altre parti generano un impatto acustico trascurabile.
In buona sostanza, tutto il sistema tecnologico è condizionato
dalla posizione del sistema di cogenerazione, per le seguenti ragioni:
• trattandosi dell’unica fonte di rumore significativa deve essere posta
in posizione da arrecare, in modo egualitario, meno disturbo possibile
ai ricettori vicini, considerati soprattutto i rumori di fondo già
presenti, ai fini del calcolo dei livelli differenziali di pressione
sonora;
• la riduzione dell’emissione è ottenibile anche attraverso l’effetto
schermante delle strutture in elevazione e del rilevato in terra perimetrale;
• sono alimentati a biogas, da cui la distanza tra loro ed i digestori
non può essere eccessiva;
• un’eventuale condotta di by-pass del gas metano per immissione nella
rete deve essere il più rettilinea possibile per minimizzare
le perdite di carico;
• sono comandati dal quadro di controllo nella palazzina, per cui serve
vicinanza al fine di minimizzare le condizioni di rischio in fase manutentiva;
• devono essere facilmente accessibili per le frequenti operazioni manutentive
e per l’ispezione da parte dell’UTIF;
• devono essere vicini alla cabina elettrica di trasformazione per ridurre
le perdite in rete per effetto Joule;
• la cabina di trasformazione deve avere un percorso più razionale
e ridotto possibile verso l’elettrodotto pubblico dove effettuare la
reimmissione in rete.
L’insieme di questi requisiti hanno condizionato in modo vincolante
sia il layout di impianto, che la sua posizione. Dai rilievi acustici
puntuali e dai dati di progetto degli impianti per quanto riguarda le
emissioni, si è previsto l’impatto acustico in seguito alla realizzazione,
valutando il rispetto dei limiti assoluti e differenziali diurni e notturni,
della zona ove insistono i ricettori. In questo caso, dati i vari provvedimenti
di mitigazione acustica adottati, la valutazione previsionale di impatto
acustico ha dimostrato la compatibilità dell’intervento con la
classificazione dell’area ove insistono le civili abitazioni considerate
come maggiori ricettori, risultando un incremento di rumore presso quest’ultimi
entro i limiti di legge.
È anche stato adottato un metodo cautelativo, poiché si
è voluta considerare la situazione più sfavorevole, quella
oggi non ancora prevista, e cioè un ipotetico futuro ampliamento
dell’impianto con il funzionamento contemporaneo di tre cogeneratori
anziché uno solo.
Tuttavia si tratta pur sempre di un impianto innovativo, da cui l’esigenza
di effettuare verifiche strumentali al termine dei lavori, non solo
per valutare il criterio differenziale di incremento delle immissioni
sonore, diurno e notturno di cui al D.P.C.M. 14.11.1997, ma anche per
definire il reale impatto nel contesto esistente, non solo con i criteri
pubblicistici della normativa speciale, ma anche con criteri privatistici,
valutando con misurazioni ed elaborazioni particolari di tipo statistico
il rispetto della “normale tollerabilità” delle immissioni di
rumore secondo l’articolo 844 del Codice Civile.
Bibliografia
David Savoia
Folio 03/2007 |