Un'equazione di politica energetica da risolvere:
(Combustibili fossili + Rinnovabili + Nucleare) =
(+ Informazione + Programmazione) x Rimozione degli antagonismi
I
primi giorni del 2006 sono stati caratterizzati da notizie che rivelano
una forte tensione del mercato del gas nell'est europeo e da preoccupazioni
sulle possibilità di continuare ad assicurare, a ritmi sostenuti,
i rifornimenti di gas naturale dalla Russia verso l'Europa occidentale.
Questo prezioso combustibile costituisce per il nostro Paese una delle
fonti primarie per soddisfare i bisogni energetici della nazione, ma
è anche lo strumento attraverso il cui uso largheggiante l'Italia
ha potuto rispettare alcuni dei limiti alle emissioni inquinanti fissati
dai diversi trattati internazionali a protezione dell'ambiente.
Gli abbassamenti di pressione che si sono di recente verificati nelle
linee di trasmissione del gas naturale e i problemi di natura geopolitica
e commerciale che soggiacciono al mercato di questo combustibile hanno
rimesso in allarme i vertici e l'intellighenzia del paese.
Vale quindi la pena ricordare qual è la situazione attuale in
termini di dipendenza energetica, di volumi annuali necessari a soddisfare
la domanda, di capacità di stoccaggio per far fronte a "transitori"
sempre più frequenti.
Ne emerge complessivamente una situazione di estrema vulnerabilità
del nostro Paese e questo tema difficile, nonché le varie ricette
adesso suggerite da più parti per affrontarlo, vengono poi sistematicamente
dimenticate o ignorate una volta che i media non includano più
quel tema in agenda (fig.1).
Le
riserve accertate di gas naturale, a livello mondiale, ammontavano nel
2002 a circa 200.000 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio)
mentre se ne estraevano nello stesso anno circa 2200; ciò indica
che a quel ritmo (che oggi è invece notevolmente aumentato) le
riserve accertate sarebbero state disponibili per non più di
90 anni.
In tabella 1 è, invece, riportata la situazione delle riserve
di gas per zone geografiche nel 2004, che mostra la chiara situazione
di difficoltà dei paesi OECD (di cui facciamo parte), specie
quando essi ricorrono al gas in modo privilegiato come succede all'Italia
al punto di far coniare a taluni il termine di monocultura del gas.
Come si è già avuto modo di sottolineare in altre occasioni,
gli attuali consumi di gas naturale in Italia ammontano a circa 75 miliardi
di metri cubi all'anno, che vengono coperti per circa il 18% da produzione
nazionale e per 1'82% da importazioni. L'Algeria e la Russia sono i
paesi da cui l'Italia importa le maggiori quantità di gas. Dall'Algeria
giunge anche una frazione (circa il 5% delle importazioni) sotto forma
di LNG (gas naturale liquefatto). I terminali italiani per l'importazione
di LNG sono Brindisi e Rovigo. Infine è da rilevare che l'Italia
ha dei costi di coltivazione (ricerca e sviluppo) ed estrazione che
non hanno eguali e delle riserve che sono molto limitate.
La capacità di stoccaggio gas in Italia è di circa 13
miliardi di metri cubi (owero non supera il 18% del fabbisogno annuo
attuale). Ciò significa che se Immaginassimo i consumi distribuiti
uniformemente lungo l'arco dell'anno, le riserve riuscirebbero a coprire
non più di un mese e mezzo di funzionamento (in contemporaneità)
dei sistemi nazionali alimentati a gas.
In un'ottica di sicurezza energetica del paese, traguardata secondo
i criteri di "security" adottati a valle dei fatti cieli'
11 settembre, non si può che convenire sulla vulnerabilità
dell'Italia dal punto di vista energetico, non solo per la sua grande
dipendenza dall'estero, ma anche dal punto di vista della sua capacità
di accumulo.
Le preoccupazioni espresse più volte in queste pagine sembrano
si stiano pian piano diffondendo e generalizzando; non a caso si riparla
sempre più frequentemente di non trascurare neanche l'opzione
nucleare, rivalutandola in maniera assolutamente non antagonistica rispetto
alle altre fonti di energia ed in particolare rispetto alle energie
rinnovabili che sono da privilegiare per la loro intrinseca natura.
Questo tema dell'opzione nucleare viene sempre più spesso ripreso
in contesti diversi, ma tra loro collegati. Si riparla di nucleare in
tema di prezzi, di sicurezza energetica e diversificazione delle fonti;
se ne riparla in tema di ambiente e riscaldamento globale del pianeta,
in tema di bolletta energetica nazionale, in tema di progetti che potrebbero
far ripartire l'economia nazionale ed europea, mettendo un argine alla
selvaggia deindustrializzazione che è stata operata nel paese
nell'ultimo decennio. La rivalutazione dell'opzione nucleare in questo
paese richiederebbe non solo la riapertura di un dibattito a livello
nazionale, ma soprattutto un'azione di seria informazione, n stretta
aderenza con le conoscenze scientifiche più moderne, in maniera
da poter alimentare un modello culturale e decisionale incentrato ad
una sorta di partnership sociale in vista della risoluzione di un problema
energetico collettivo che ha forti ripercussioni sulle future generazioni.
In ogni caso l'opzione nucleare deve essere vista nell'ambito di una
seria programmazione energetica nazionale, che a sua volta va sviluppata
su basi strategiche e quindi per lungo periodo, prima ancora di pensare
al brevemedio termine, ovvero ai livelli operativi. In una seria programmazione
energetica ove mai si riuscisse a vararla, in quanto assente nel paese
da molti decenni non ci può essere antagonismo tra fonti di energia
primaria, o ideologismo, ma solo scelte dettate da concrete ragioni
ispirate al bene comune.
Ma
in tema di nucleare, tema attentamente evitato per anni da molti dei
nostri politici per motivi di per-dita di consenso, vanno qui citate,
a titolo di esempio, due notizie, una proveniente dal mondo inglese
ed una da quello coreano, alle quali i media nazionali non hanno
dato il risalto dovuto.
In Gran Bretagna, nell'ultimo trimestre 2005, ne hanno dato notizia
alcune agenzie di stampa, il Premier britannico Blair ha fatto esplicito
riferimento al-l'opzione nucleare, annunciando I'awio di uno studio
governativo che ne valutasse la fattibilità. I risultati di tale
studio dovrebbero essere resi disponibili a Downing Street entro la
prossima estate. Nel frattempo giungono notizie che in Gran Bretagna
siano stati condotti sondaggi e che l'elettorato di Blair sia sostanzialmente
diviso sull'opzione nucleare con una singolarità che mostra gli
uomini tendenzialmente a favore e le donne tendenzialmente contrarie.
Il sondaggio metterebbe quindi in evidenza una diversa valutazione nei
confronti della questione nucleare che è sostanzialmente fondata
sulla differenza dei sessi. Infatti tra gli uomini la percentuale di
favorevoli è del 57%, mentre tra le donne questa percentuale
scende al 33%. Per contro si dicono contrari il 57% delle donne e il
39% degli uomini. II sondaggio effettuato, invece, in base all'orientamento
politico, rivela che i conservatori sono nettamente favorevoli e pari
al 56%, mentre tra i laburisti il divario tra favorevoli (49%) e contrari
(48%) è minimo. La cosa, cui è stata dato rilievo nel
sondaggio, è che anche tra i liberaldemocratici, tradizionalmente
contrari al nucleare, si registra un'elevata percentuale di favorevoli,
che è pari al 41%s.
II secondo esempio, coreano, proviene da un trafiletto che qualche
giornale ha riportato a livello di curiosità: cittadini
di uno sperduto paesino coreano hanno portato in trionfo in spalla il
proprio sindaco per essere riuscito a far localizzare nel proprio comune
deposito nazionale di rifiuti radioattivi, che farà ricadere
localmente numerosi benefici economici ed ndustriali.
Da noi, un sondaggio simile a quello inglese sarebbe stato, per
motivi esclusivamente politici, facilmente strumentalizzato, al
punto che nucleare sarebbe divenuto sinonimo di conservatorismo
e maschilismo; inoltre, da noi, riecheggia ancora l'episodio
di Scansano, ove la piazza locale è prevalsa sul-l'evidente interesse
collettivo, grazie anche alla scarsa determinazione e capacità
di convincimento di chi quelle decisioni le aveva prese; per giunta,
co-si facendo, si è fatto nascere il convincimento che la "piazza
paga", concetto al quale si ispirano ormai tutti coloro che intendono
ostacolare, per proprio interesse, una qualsiasi opera di interesse
collettivo che ha valore di infrastruttura per il paese.
Ancora una volta è evidente che si tratta, per noi, solo di problemi
urgenti che attengono alla sfera socio-culturale e politica. Pertanto,
viene da domandarsi se oggi esistono, da noi, le condizioni affinché
azioni di informazione e cultura sociale sulle emergenze che sopravanzano
possano essere affrontate con spirito di servizio, scevro da interessi,
ad esclusivo beneficio della collettività.
Bibliografia
Rocco Morelli
Il Perito Industriale 01/2006
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