Uno sguardo ai costi che gli Accordi di Kyoto comportano
per l'economia italiana e ai possibili provvedimenti
per il rispetto degli obiettivi fissati dal protocollo

 

I nostro Paese, con l'adesione al Protocollo di Kyoto, si è assunto l'impegno di ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra (in particolare CO2, ma anche SOx, NOx metano, etc. prodotti della combustione) del 6,5% rispetto ai livelli del 1990. L'on.le Edo Ronchi, ex Ministro dell'Ambiente (dal 1996 al 2000), che negoziò per l'Italia, nel '97 Il Protocollo di Kyoto, sembra aver affermato che in origine l'obiettivo era assai più ambizioso. si ipotizzava una riduzione di emissioni di anidride carbonica del 15%, ma ci si rese conto che Stati Uniti e Giappone miravano ben più in basso. L'Italia avrebbe dovuto tagliare il 6%, ma accettò il 6,5% per far quadrare i conti. Oggi, a cose fatte si parla dei costi che l'adesione al Protocollo di Kyoto comporterà per il nostro Paese. Ron-chi, però, non concorda con le previsioni tragiche sui costi per l'Italia ed afferma che molti appesantiscono i costi di Kyoto con quegli investimenti che andrebbero fatti in ogni caso, come ad esempio le spese per ammodernare le centrali elettriche. In concreto, oltre all'industria elettrica nazionale, quasi 1300 aziende italiane sono assoggettate ai nuovi standard ed obiettivi aziendali. mentre il governo studia eco-incentivi. Pare comunque certo che. a beneficio dell'ambiente, l'Italia sborserà per Kyoto 7 miliardi entro il 2012. Ma, mentre l'industria sembra essere già in linea con le emissioni, più indietro appaiono altri settori, come la produzione di energia elettrica, i trasporti e il consumo civile. I costi potrebbero essere salati: circa 1 miliardo di euro all'anno (in media), 7 miliardi da qui al 2012 come pare risulti anche all'ex Ministro dell'Ambiente, oggi professore di Legislazione dell'ambiente all'Università di Bologna e preside dell'Istituto Issi. Ronchi, inoltre, contrariamente ai filo-nucleari riemergenti, non sembra credere che il nucleare possa essere una soluzione per l'Italia, perché l'energia atomica è carissima e non vale la pena spendere il 40-50% in più rispetto a un chilowattora prodotto da una centrale a gas. Sembra quasi che l'ex ministro si dimentichi, però, che non siamo più nel '96-'97 e nel frattempo i costi del gas e del prodotti petroliferi in genere sono lievitati, al punto che in molti concordano sul fatto che le nuove centrali a gas ad alto rendimento (cicli combinati) sono ormai competitive solo nel "raidmerit", ovvero in quei casi in cui sia previsto un funzionamento/dispacciamento dell'energia prodotta dal nuovo impianto per 3500-4500 ore/anno. Nei casi invece in cui si funzioni e si dispacci energia dal nuovo impianto in condizioni di "base-load" (owero per più di 6500 ore/anno) l'impianto nucleare è, oggi, ritenuto certamente più competitivo, pur tenendo conto dei costi di decommissioning. Altra cosa, invece, è parlare del deposito millenario di combustibile nucleare esausto e rifiuti ed alta attività, prodotti in modestissimi volumi dagli impianti nucleari durante il loro ciclo di vita. Questo aspetto non può che essere risolto e livello di singolo paese o a livello europeo con una infrastruttura di deposito nazionale/europeo (profondo. geologico od ingegneristico che sia). La necessità di un tale deposito non è comunque imposta solo dal ricorso all'energia nucleare per produzione elettrica; esso sarebbe comunque necessario quantomeno per effetto della presenza di rifiuti radioattivi ad alta attività di origine ospedaliera, industriale, militare. Ma il nostro Paese, ed in particolare le comunità locali, con l'episodio Scanzano, hanno detto di no - senza alcuna informazione tecnico-scientifica al riguardo - ad un possibile deposito a 900 m di profondità, in una zona che pare ci sia invidiata in Europa per conformazione ed alta stabilità geologica nei millenni, che avrebbe consentito un facile ritorno alla tecnologia nucleare, qualora fosse stato democraticamente deciso, azzerando così ogni preoccupazione circa il mantenimento millenario delle cosiddette scorie. Inutile ricordare ai tecnici che di fronte ad affermazioni pure autorevoli, come quelle di Ronchi, o degli ambientalisti in genere, la deontologia professionale impone che non si possa e non si debba dare credito ad altro se non ad elementi scientifici e tecnico-economici che emergessero da analisi costi-benefici (inclusi quelli ambientali) che metodologie diffuse e consolidate a livello internazionale oggi offrono.
Non a caso sul nucleare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, nell'imminenza di Kyoto e dell'aumento della domanda di energia, ha chiaramente sottolineato che si tratta dl temi che richiedono riflessione; agenzie di stampa hanno riportato fedelmente: "Il nucleare è un discorso che si ricomincia da poco a riproporre. C'6 Kyoto e il nucleare è la forma meno inquinante". Guardando le emissioni di CO2 in Francia (grafico 1) e a leggere le sue parole sembra quasi che il Presi-dente del Consiglio abbia le idee chiare su come risolve
re il problema dei costi di Kyoto e trasformarli in una vera opportunità per il Paese, tant'è che sembra abbia risposto nel seguente modo a chi gli chiedeva, nel corso della conferenza stampa con il primo ministro francese Jean Pierre Raffarin, sul-l'eventualità che l'Italia intenda rilanciare il suo impegno su questo fronte: "Occorre con calma guardare se questo modo di produrre energia può essere una risposta, anche perchè l'Italia ha una situazione molto particolare e una domanda sempre crescente di energia". Nessuno sa, però, se nei colloqui con Raffarin ci siano stati accenni al problema della sistemazione dei rifiuti radioattivi e relativo deposito. A riguardo della sistemazione rifiuti radioattivi infatti non si capisce perché nel recente passato gli ambienti governativi, dopo decisione praticamente presa, abbiano fatto "marcia indietro" sul deposito nazionale dei rifiuti a Scanzano, per di più avvalorando nei fatti la tesi secondo cui comportamenti di piazza, talvolta "antisociali", possano essere "paganti". Solo la possibilità di una eventuale risoluzione del problema "deposito" a livello europeo (visto il peso che l'argomento ha per la Francia) potrebbe essere giusto movente per il "ripensamento" avvenuto.
Eppure, a seguire i media nazionali, gli interventi governativi per affrontare e rispettare gli obiettivi fissati dagli Accordi di Kyoto sembrano concentrarsi sul settore dei trasporti, responsabile per circa il 30% delle emissioni. II Ministero dell'Ambiente punta ad un pacchetto di ecoincentivi e sembra esserci l'intenzione di eliminare entro il 2009 circa 15 milioni di auto immatricolate prima del 1996, utilizzando - ove necessario - un'ecotassa per disincentivare l'uso dei veicoli più inquinanti, oppure avviare una nuova politica di incentivi per l'acquisto di auto con standard ambientali Euro 4. Non è un segreto per nessuno che l'industria automobilistica italiana, a questo riguardo più arretrata rispetto ai produttori tedeschi e giapponesi, dovrebbe, nell'ipotizzate eventualità di incentivare I'Euro 4, affrontare lo svantaggio competitivo con le marche straniere, nonostante la forte crisi in cui già si trova oggi. Il provvedimento sarebbe quindi un autogol per il Paese.
Nel settore dell'energia, invece, gli intenti governativi sarebbero quelli di promuovere progetti di cooperazio¬ne e favorire il commercio delle emissioni cioè le co¬siddette "emission trading". Ma acquistare diritti di emissione da chi non emette, o emette di meno di
noi, è un aggravio economi-co per la Nazione, alla stessa stregua dell'export di rifiuti urbani, pratica cui ci stiamo abituando piuttosto che ave-re inceneritori sul nostro terri¬torio. Insomma l'ostinazione a non riconsiderare il nuclea¬re in Italia costa in termini economici diretti ed indiretti, pertanto la riapertura di un dibattito nazionale al riguardo non è più procrastinabile.
Va peraltro sottolineato che l'eventuale ripresa di un dibattito sul nucleare non può essere un'ennesima occasione di contrapposizione dicotomica all'interno della politica italiana. II tema è troppo importante per la ripresa e una frattura che vedesse ad esempio il contrapporsi di biunivoche equazioni del tipo "nucleare = di destra" verso "gas = di sinistra", sarebbe un ennesimo errore che potrebbe compromettere gli interessi dell'economia e della vita stessa della Nazione.
Certo è che con 7 miliardi di Euro, si potrebbero realizzare entro il 2012 il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (di ogni genere) e due impianti nucleari di grande taglia (per esempio due European Pressurized Reactor da 1500 MW cadauno). In tal modo, da un punto di vista macroeconomico, data la natura e l'entità dell'investimento in gioco, si risolverebbe al tempo stesso il problema del rispetto del Protocollo di Kyoto, la sistemazione dei rifiuti nucleari in Italia e la ripresa dell'economia italiana, dove predomina la finanza, ma l'industria sta per morire.
L'investimento per queste opere, che costituirebbero infrastrutture-paese per i prossimi 40 o 50 anni, non graverebbe sul bilancio dello Stato, perché sarebbe la "bolletta elettrica" a finanziarlo (come peraltro già fa per i nuovi impianti a gas, gli ammodernamenti ambientali e lo smantellamento dei vecchi impianti nucleari). I benefici economici per il Paese, però, non finirebbero con l'avvio di una nuova stagione di sviluppo promossa attraverso il nucleare, perché la bolletta energetica che l'Italia paga per l'importazione dei combustibili fossili ne beneficierebbe fortemente, la diversificazione delle fonti ci coprirebbe ulteriormente dall'instabilta geopolitica dei paesi produttori di energia primaria fossile e dalle loro politiche di cartello che hanno finora condotto a rincari. Con spirito politico illuminato "i costi di Kyoto" possono essere trasformati in un'opportunità irrepetibile per il Bel Paese! E' un'occasione unica, vediamo di non sprecarla!

Bibliografia
Rocco Morelli
Il Perito Industriale - 02/2005

 

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