ALCUNI TEMI DI ECONOMIA CONNESSI
ALLA POLITICA ENERGETICA NEL SETTORE NUCLEARE

 

Fatti dimostrano che paesi europei come l'Austria, che con le sole risorse idriche copre praticamente una grossa fetta del fabbisogno elettrico nazionale, possono facilmente assumere posizioni antinucleari al punto da esercitare pressioni in sede europea, invocando la sicurezza come ragione, affinché paesi confinanti (per esempio Repubblica Ceca e Siovacca nella fatti specie, non ugualmente privilegiate da un punto di vista idroelettrico) chiudano anzitempo alcuni impianti
nucleari di concezione russa non modernissimi, ma nondimeno vitali economicamente e social
mente, nonché sufficientemente sicuri secondo il parere di esperti internazionali. Gli atteggiamenti austriaci sono poi rinfor
zati da "ecologismo ideologico" riaffermatD attraverso un "intenzionale ed esemplare" diffuso ricorso all'eolico sul proprio territorio. Ciò che meraviglia, però, è la posizione dell'Europa, più che la posizione austriaca. Infatti, in un'ottica di puro egoismo si può anche trovare motivo per l'Austria nell'avanzare le proprie pretese, aventi fondamento però solo nelle emozioni e non nella razionalità (come d'altro canto succede da noi per il nucleare nostrano, con la differenza che noi non siamo però ancora arrivati a chiedere ai Francesi e agli Svizzeri la chiusura dei loro più vecchi impianti nucleari, anche perché non ci ascolterebbero, e farebbero bene!).
L'Europa, invece, ha ascoltato l'Austria (e forse c'è stato l'interesse di qualcun altro!) al punto che tra le condizioni di accesso della Repubblica Siovacca al
l'Unione c'è la chiusura anticipata (ovvero prima della fine della vita di progetto) di alcuni impianti nucleari slovacchi, di concezione russa, che sono del tipo
WER 230 (Water Water Reactor - tecnologia russa per PWR). Dal 10 maggio 2004 l'accesso della Siovacchia all'Unione è avvenuto e pertanto qualcuno reclama di incassare il proprio "prezzo" ,ovvero la chiusura anticipata di quegli impianti nucleari. A nulla pare valga che gli impianti in questione siano stati oggetto di sostanziali migliorie ed adeguamenti decisi anche dagli organismi internazionali di controllo sulla sicurezza nucleare (l'IAEA che ha proprio sede a Vienna). Meraviglia quindi come l'Europa possa non considerare gli aspetti economici e sociali che si sviluppano intorno ad
impianti nucleari in un paese come la Siovac
chia, impianti che hanno la sola colpa di essere vi
cini al confine austriaco, e possa quindi decretare la loro chiusura, come prezzo da pagare per la quota di ingresso nel club, solo perché "pattuita" senza alcun riguardo per le conseguenze economico-sociali nel paese. E' inoltre innegabile che tutto ciò avviene mentre il panorama internazionale è il seguente:
In Francia viene promosso (per motivi di cashflow) l'esercizio degli impianti nucleari esistenti, anche attraverso un'estensione della vita residua (passando così da una vita di progetto generalmente di 30 anni ad una vita effettiva generalmente di 40 anni); inoltre si promuove il rimpiazzo degli impianti nucleari obsoleti con impianti di grossa taglia (15001600 MW elettrici) di concezione franco-tedesca (EPR= European Pressurized Reactor ormai sviluppato da Framatome-Siemens e in corso di realizzazione in Finlandia).
La Finlandia promuove la costruzione di un nuovo impianto nucleare da 1600 MWe, orientandosi sulla tecnologia europea franco-tedesca, che dovrebbe entrare in esercizio nel 2009.
Nel Regno Unito le utility elettriche convincono il governo (esitante) ad accettare progetti rivolti alla riduzione della dipendenza dal gas importato e al rimpiazzo di vecchi impianti nucleari con nuovi impianti nucleari.
In Svizzera i cittadini attraverso un referendum hanno rifiutato la prematura chiusura degli impianti nucleari ed il governo non accetta una chiusura anticipata per ragioni politiche o ideologiche.
Negli USA la nuova politica energetica approvata dal Senato ha un chiaro carattere filo-nucleare ed accentua il ruolo dell'energia nucleare per salvaguardare la domanda di energia che si prospetta.
In Germania il governo, nonostante tutto, ha deciso di mantenere in esercizio i propri impianti nucleari fino alla fine della loro originaria vita di progetto.
In Spagna è stata approvata l'estensione della vita di progetto originaria per 6 impianti nucleari.
In altre parole il panorama internazionale mostra che attraverso il nucleare, chi "può" fa i propri interessi, ma non tutti "possono".
In realtà il problema del nucleare è un problema che coinvolge l'economia di un paese, la sua bolletta energetica, la sua dipendenza e quindi la sua sicurezza energetica, nonché la sua politica industriale e gli interessi nazionali sia a livello economico che industriale.
In un recente convegno internazionale tenuto dal Foratom a Bratislava in maggio 2004 è stato riportato citando come fonte uno studio finlandese il seguente confronto tra costi di generazione di energia elettrica per i diversi tipi di tecnologie (a carico base = 8000 ore/anno e a costi 2000):
Nella stessa sede è stato affermato che la tecnologia nucleare è competitiva rispetto alle altre tecnologie al di sopra di una soglia di 5600 ore/anno di funzionamento che corrisponde ad un fattore di utilizzo del 64% circa. Ciò significa che per effetto del costo del gas che tende sempre più ad aumentare (e non certo per i costi di capitale associati alla tecnologia) gli impianti a ciclo combinato che fino a qualche tempo fa con basso costo del combustibile si presentavano come i più convenienti in assoluto, oggi sono convenienti solo per impianti "mid-merit" ovvero come affermano studi francesi per esempio quando si richiede un funzionamento per sole 4000-4500 ore/anno.
Analizzando nel grafico 1 l'andamento dei dati storici dei costi (in corone slovacche per giga Joule; ad oggi 1 € = circa 40 SK) dei combustibili di varia natura e le loro proiezioni nel tempo (emersi nel citato convegno) l'uranio si prospetta come il più economico in assoluto, attualmente e negli anni a venire (con stabilità prevista almeno fino al 2020). Carbone e lignite stanno nel mezzo. Il gas (combustibile privilegiato dagli Italiani; un po' come: "l'esclusivo uso di carne di vitello a tavola", ma con opportuna amplificazione!) costa dalle 17 alle 23 volte in più del combustibile nucleare. Da qui si può comprendere quale rilevanza abbia ad esempio per la sola bolletta energetica nei confronti dell'estero, una scelta di uscita dal nucleare come è accaduto in Italia. Allo stesso tempo si può valutare l'aggravio che ne deriverebbe alla Siovacchia se la chiusura di quegli impianti nucleari dovesse avvenire. Ma anche così i conti delle perdite non sarebbero completi poiché installare e disinstallare potenza (specie se nucleare) costa moltissimo per i riflessi diretti, indiretti e indotti che si hanno nell'investimento; anche i mancati vantaggi da un basso costo dell'energia dovrebbero far parte del conteggio perdite.
Ma tutto ciò, nel mondo politico nazionale ed europeo, pare di gran lunga meno rilevante che il consenso politico, visto che non si ha il coraggio di certe scelte. Così in politica energetica si continua a filosofare sul management della domanda di energia ed in politica economica la fiscalità appare come l'unica moda.
Resta il dubbio se a livello europeo interessi francotedeschi non abbiano la propria parte nella prematura chiusura di impianti nucleari esistenti di vecchia concezione russa, visto che ormai ci potrebbe essere un EPR (European Pressurized Reactor) pronto a rimpiazzarli.
Favorire la promozione della tecnologia europea in un mondo globalizzato è un dovere, ma il mantenimento di un'etica in economia e perseguire l'utilizzo di un impianto opera dell'uomo fino al suo naturale esaurimento fa parte dell'antica saggezza non consumistica, propria della vecchia Europa. C'è da augurarsi che a Bruxelles qualcuno se ne ricordi.



Bibliografia
Rocco Morelli
Il Perito Industriale - Luglio/Agosto 2004

 

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