Dopo
i black out del settembre 2003 l'Italia è a un bivio
Il
Piano Energetico Nazionale ha bisogno di un sistema Paese che lo supporti
con stabilità politica, maggiori investimenti, regole chiare,
scelte inequivocabili togliendo i vincoli di sempre.
La
prima centrale elettrica
Stranamente la storia gioca con le coincidenze. Mentre tutta l’Italia
sia quella politica sia economica sia industriale era concentrata
sul blackout e sul collasso del sistema energetico nazionale, non
tutti ricordano che proprio 120 anni orsono a Milano iniziava la storia
della elettricità.
Il 28 giugno 1883 la centrale di S.Redegonda entrava ufficialmente
in servizio per distribuire energia elettrica per l’illuminazione
pubblica e privata. Era la prima in Europa, la seconda nel mondo dopo
quella di New York realizzata da T.A. Edison. Ancora oggi nei pressi
di piazza Duomo, una targa ricorda la centrale e l’Ing. G. Colombo
imprenditore e artefice della costruzione.
Centrali nucleari in italia e nel mondo
L’uso delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare nacque in
Italia intorno agli anni cinquanta come conseguenza della tradizionale
posizione che il nostro Paese aveva in quegli anni nel campo della
fisica nucleare e dell’ingegneria sperimentale. Gli uomini simbolo
furono senz’altro Enrico Fermi e Felice Ippolito. Quest’ultimo, oltre
alle conoscenze tecnico-professionali, possedeva anche le capacità
manageriali per la gestione di macro progetti e senso della politica.
Il principio di funzionamento delle centrali nucleare è abbastanza
semplice: nel reattore, dove si trova il combustibile nucleare avviene
un processo di fissione nucleare controllata nel quale si sviluppa
una grande quantità di energia termica. Il calore generato
serve per produrre vapore, che espandendosi in una turina la fa ruotare;
un alternatore ad essa calettato trasforma l’energia meccanica in
energia elettrica.
Nacquero così le prime centrali nucleari che hanno prodotto
in 20 anni circa 80 milioni di kWh, potenza complessiva 1423 MW e
che furono dismesse gradatamente tra gli anni 86/90.
Latina |
153
MW |
in
servizio gen.64 |
Garigliano |
150
MW |
in
servizio giu.64 |
T.no
Vercellese |
260
MW |
in
servizio gen.65 |
Caorso |
860
MW |
in
servizio dic.81 |
Lo
Stato italiano ha riconosciuto all’Enel e alle ditte del settore,
un risarcimento di 10.000 miliardi di vecchie lire per l’uscita dell’Italia
dal nucleare pagato dagli utenti attraverso il “sovrapprezzo termico”
sulle bollette, a cui si deve aggiungere anche un altro costo per
mantenere continuamente in sicurezza dette centrali. (Per Caorso si
parla di 850 milioni al giorno).
Il tema della sicurezza nel settore “nucleare civile” divenne tristemente
famoso nell’aprile 1986 con il disastro di Cernobyl centrale nucleare
sovietica subito etichettata come obsoleta. Con un referendum popolare
nell’autunno del 1987 il governo italiano decideva una moratoria di
5 anni per la costruzione di nuovi impianti nucleari; imponeva la
sospensione della costruzione in essere di nuove centrali nucleari,
e la chiusura di quelle esistenti. Erano anche gli anni in cui molti
Sindaci facevano a gara per apporre cartelli “Comune denuclearizzato”.
Ci furono indubbiamente delle responsabilità prese da una classe
politica incompetente, delle scelte coraggiose senza paura della impopolarità,
dopo anche le verifiche sulla sicurezza degli impianti eseguite con
successo. L’aver boicottato il nucleare ha costretto il nostro Paese
a sopperire ai bisogni energetici importando circa il 17/20 % dell’energia
elettrica, prodotta dalle centrali nucleari, degli stati confinanti
condividendone tutta la rischiosità.
Il nord Italia è circondato da 13 centrali nucleari in esercizio
e si trovano a circa 200 km dai nostri confini (Francia, Germania,
Svizzera, Slovenia) e per le quali l’Anpa (Agenzia nazionale protezione
ambiente) ha messo a punto un piano nazionale di emergenza previa
valutazione dei rischi, coinvolgendo anche i Paesi nucleari confinanti.
Attraverso un monitoraggio continuo, stazioni con centraline ad alta
tecnologia disposte sul territorio nazionale, sono pronte a far scattare
l’allarme in caso di incidente nucleare alle centra- li che si trovano
a margine dei confini italiani, con rilascio di sostanze radioattive
in atmosfera. Analogamente intervengono anche in caso di incidente
che si dovesse verificare in uno dei nostri siti industriali di ricerca,
stoccaggio rifiuti ecc.
Non solo Cernobyl, ma anche la centrale nucleare francese S. Phonix
situata ai piedi delle Alpi e vicina a Torino, ha registrato anni
orsono (86/92) incidenti quasi tutti nascosti al pubblico e alla stampa;
ora non se ne parla più come se tutto fosse caduto nell’oblio.
La nube di particelle radioattive liberata non riconosce alcuna frontiera
e valica le Alpi senza problema. Anche altre centrali dell’Est europeo
più lontane e simili a Cernobyl vengono considerate sorgenti
di rischi potenziali, perchè in caso di grave incidente il
materiale radioattivo potrebbe giungere sino al nostro Paese.
Con le dimissioni delle centrali nucleari italiane, rimaneva e rimane
tuttora la messa in sicurezza e la conservazione dei rifiuti radioattivi.
Ad oggi un sito che ospiti tutti detti rifiuti non è stato
ancora individuato (vedasi quanto accaduto recentemente per il sito
di Scanzano proposto in Basilicata.) È un problema di non facile
soluzione anche se da un punto di vista strettamente tecnico-scientifico
e al dire di esperti del settore, la soluzione sarebbe quella di rinchiudere
le scorie solide in recipienti di piombo e successivamente interrate
nelle miniere abbandonate di sale oppure seppellite nei fondali marini
con il rischio però di contaminare per lunghi anni il suolo
che li ospita.
Scarse sono le notizie e i dati forniti per cui non si conosce con
certezza il numero dei siti “ufficiali” in cui sono stoccati attualmente
le varie tipologie di rifiuti nucleari. I più significativi
per quantità e pericolosità di scorie presenti sono
circa una trentina che ospitano 25mila metri cubi di rifiuti buona
parte “custoditi” nelle stesse centrali, ora dismesse, che li avevano
prodotti.
Ad oggi si contano in servizio circa 440 centrali nucleari distribuite
secondo la tabella sotto indicata, che è anche indicativa per
misurare la tendenza del nucleare nei vari Stati.
Europa |
40% |
Corea |
2,6% |
Usa |
26% |
India |
2,5% |
Giappone |
12% |
Cina |
0,7% |
Russia |
11% |
Sud
America |
1,3% |
Canada |
3,4% |
Sud
Africa |
0,5% |
L’installazione di nuove centrali nucleari trova forte opposizioni
da parte di una certa opinione pubblica in numerosi paesi sorretta
anche da quegli scienziati che ne indicano la pericolosità
sia durante il funzionamento sia per lo smaltimento delle scorie ad
alto grado radioattivo.
Se l’Italia dovesse riprendere la strada sull’uso pacifico del nucleare
sicuramente non potrà che farlo attraverso le multinazionali
europee e affrontato su basi completamente diverse perché tutte
le conoscenze acquisite dai tecnici di allora è andato disperso.
Inoltre non va dimenticato che sono venute meno le capacità
tecnologiche, industriali e gestionali con forte ripercussione sulla
occupazione di grandi aziende italiane quali: Agip nucleare, Breda,
Marelli, Tosi, Ansaldo che sono praticamente scomparse e che garantivano
le condizioni di una sviluppo integrato fra pubblico e privato.
GRTN
(Gestore rete trasmissione nazionale)
Il GRTN nacque nel 1999 (D.Lgs. 79/99) voluto dall’Enel e controllato
dal Tesoro e dal Ministro delle Attività Produttive. Il cuore
del sistema, con la sua sede principale è alle porte di Roma
lungo il raccordo anulare, ed è uno dei centri più tecnologicamente
avanzati. È oltremodo influenzato da fenomeni climatici e fattori
naturali quali vento, pioggia, neve, ghiaccio, temperatura, fulmini
ecc contro i quali la tecnologia ben poco può fare e quindi
gestisce un “complesso equilibrio” tra fattori controllati dall’uomo
ed elementi che sfuggono totalmente al suo controllo.
Il GRTN è venuto ovviamente alla ribalta in occasione del blackout
del settembre 2003 con le inevitabili polemiche, inchieste che ne
sono seguite sulla efficienza e sicurezza del sistema elettrico in
un mercato ormai liberalizzato.
Attraverso gli elettrodotti ad alta tensione (380-220/132-150 kV)
per circa 43.000 km di linee aeree e in cavo e 250 stazioni elettriche
di smistamento e trasformazione, l’energia prodotta dalle centrale
viene immessa in rete lungo gli elettrodotti sopra menzionati (arterie
principali) e quindi consumata dagli utilizzatori finali (industrie,
terziario, civile).
Così come strutturato il GRTN e fortemente legato alle centrali
di produzione di energia: idro – termica – geotermica. I tecnici del
GRTN dialogano e trattano con quelli delle “centrali” per l’immissione
della potenza in rete tenendo conto di diversi fattori quali:
Punte
di carico
Condizioni
climatiche
Ore di
luce e di buio
Eventi
eccezionali
Immissione
in rete di energia a diverse condizioni di costo
Tempo
necessario per avviare le centrali (p.e. un un turbogruppo da 300
MW impiega circa 6-24 ore per entrare pienamente in regime)
La
situazione energetica attuale
Oggi la situazione energetica italiana è seria e può
essere riassunta in base ai dati sotto indicati:
La
domanda di elettricità dell’Italia è soddisfatta per
il 17% (con punte che possono arrivare al 20%) dall’importazione dall’estero
di energia elettrica da fonte nucleare tra cui la Francia che è
la meno costosa.
Questa
dipendenza dall’estero è di gran lunga il valore più
elevato fra i paesi industrializzati se si pensa che in altri Paesi
il massimo arriva al 3%. È un caso anomalo che deve far riflettere.
Nonostante
l’importazione dall’estero il costo del kWh in Italia si aggira oggi
sui 0,10 e/kWh notevolmente superiore alla media europea (0,06 e/kWh)
a causa della dipendenza del greggio e delle fluttuazioni del dollaro.
Siamo quindi più che mai esposti a possibili e probabili crisi
del mercato dei combustibili fossili.
L’intensa
ricerca e gli alti costi di investimento sulle fonti rinnovabili quali
solare, eolica, biomassa ecc. ha accertato la limitatezza della loro
potenzialità: lo 0,4% del fabbisogno elettrico nazionale espresso
in GWh. Non per niente questo tipo di fonti sono chiamate “integrative”
e non “sostitutive” delle altre tradizionali. Chi spera di arrivare
al 10/15% è considerato un visionario.
La
sola diversificazione operata in Italia è consistita in una
crescita del consumo di gas naturale (centrali turbo gas - ciclo combinato)
certamente meno inquinante del greggio.
L’Italia
avrà maggiori difficoltà a rispettare gli impegni stabiliti
dal protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di CO2 sia
per la dipendenza di combustibili fossili sia per aver abbandonato
il nucleare.
Per concludere secondo L’Enel e quasi tutte le forze politiche il
problema energetico è una priorità nazionale, una vera
emergenza. Gli industriali chiedono la costrizione di nuove centrali
e il completamento della rete di interconnesione per questo occorre
che i provvedimenti presi dal governo vengano messi in atto; dalle
parole si passi ai fatti.
Basta con le polemiche, occorre superare le lentezze, i dissensi fra
le varie amministrazioni uscire dalla politica del rinvio e della
interdizione permanente.
Non e più possibile che ancora si debba vedere rinviato la
costruzione di centrali tradizionali per dissensi su dove si debba
realizzare. La morale è che ognuno vuole l’energia elettrica
ma nessuno desidera che sia prodotta nella sua zona.
Ci vogliono anni per realizzare un piano energetico coerente e condiviso
da tutte le forze politiche, per questo occorre fare presto e non
restare in balia di altri eventi stranieri.
Bibliografia
Costantino Parlani
Folio - n.4 aprile 2004