Dubbi sull'efficacia del Protocollo di Kyoto. L'opinione di Franco Battaglia, titolare della cattedra di Chimica Fisica alla Terza Università di Roma e coordinatore del Comitato scientifico dell' Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (Anpa). Professor Battaglia, la sua è senz'altro una delle voci più critiche sulle attività in corso per la ratifica del Protocollo di Kyoto. Nell'affermare che il protocollo prevede in ogni caso azioni inefficaci e inadeguate, Lei sembra non essere d'accordo con le conclusioni dei rapporti Ipcc, che tuttavia sono state effettuate da alcuni dei massimi scienziati di settore. No, il punto non è che non concordo con le conclusioni scientifiche dei Rapporti dell'lntergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc). Il problema è sull'informazione che ne scaturisce. AII'lpcc vi sono scienziati rispettabilissimi, i quali producono regolarmente rapporti che, prima di essere pubblicati, vengono discussi e approvati dal comitato scientifico. Ognuno di questi rapporti, generalmente di un paio di migliaia di pagine, viene poi sintetizzato da una speciale commissione in un Summary for policy makers che molto spesso altera il significato del Rapporto vero e proprio. Eclatante, ad esempio, fu il caso della riunione Ipcc del novembre 1995 a Madrid, allorche nella successiva riunione di Roma gli scienziati, che avrebbero dovuto approvare il documento che sintetizzava i lavori dei differenti gruppi, scoprirono che il testo scientifico preparato a Madrid era stato riscritto attraverso negoziati tra funzionari di vari governi. Gli scienziati protestarono e uno dei responsabili Ipcc di quel rapporto arrivò a precisare in un articolo su "Nature" che il Summary è solo una dichiarazione di ciò che i funzionari dei governi accettano e non va considerato un documento scientifico. Purtroppo, però, sulle pagine dei giornali e alle orecchie dei politici e dei cittadini arrivano solo tali sommari con le affermazioni "politicamente corrette" ove si sottolineano in modo eccessivo alcuni aspetti e non si evidenziano a sufficienza sia la grande imprecisione nelle conoscenze, sia la totale aleatorietà delle previsioni. Il risultato è che sui media vengono riportate come certe cose che sono invece del tutto ipotetiche. Per capire qual è il livello di incertezza, pensi che I'Ipcc ha fatto le prime valutazioni sui possibili scenari a lungo termine (praticamente 100 anni) nel 1992; nel '95 si è poi deciso che era opportuno riconsiderare quegli scenari ogni tre anni. Mi chiedo: che valore hanno previsioni a lungo termine che però devono essere riviste ogni tre anni? Ma l'intera comunità scientifica è ben conscia degli enormi limiti di conoscenza che si hanno sullo stato del clima e sulla sua evoluzione: lo stesso Ipcc, che ha fornito 40 possibili scenari sulla futura evoluzione del clima, afferma testualmente. "le future emissioni di gas serra sono il prodotto di sistemi dinamici molto complessi e la loro evoluzione futura è enormemente incerta. Gli scenari sono immagini alternative di come il futuro potrebbe evolversi, ma la possibilità che ogni singolo percorso di emissioni avverrà come descritto dagli scenari è enormemente incerto. Ogni scenario include necessariamente elementi soggettivi ed è aperto a varie interpretazioni. La preferenza per gli scenari qui presentati è variabile e, in questo rapporto, non è offerto alcun giudizio di preferenza giacche agli scenari non è assegnata alcuna probabilità di realizzarsi" . Più chiaro di così: a nessuno degli scenari prospettati viene assegnata alcuna probabilità di realizzazione! C'è però uniformità di giudizio sul fatto che il clima si stia modificando e che la temperatura sia in aumento. L'unica cosa sulla quale la comunità scientifica concorda è che la temperatura terrestre nella bassa atmosfera è cresciuta di mezzo grado negli ultimilOO anni. Questo fatto non è contestato (ma negli ultimi 100 anni, non negli ultimi 20 o 30 come solitamente si vuoi far credere), come pure nessuno contesta che l'aumento di anidride carbonica fornisca un contributo all'effetto serra in generale. Il punto è: quanto incidono le emissioni dovute alle attività umane e che inAuenza può avere su queste il protocollo di Kyoto? Le dico solo due cifre: la quantità di anidride carbonica prodotta in natura è di 3 mila miliardi di tonnellate, mentre quella prodotta dalle attività umane è di circa 6 miliardi di tonnellate l'anno. Il contributo dell'uomo è dunque minimo ed è un punto di vista almeno discutibile che, allo stato attuale; l'uomo possa incidere come si vuoi far credere sul clima. Inoltre la metà delle 6 miliardi di tonnellate di CO2 antropogenica proviene dai Pvs e non viene toccata dal protocollo di Kyoto, che interessa solo la produzione dei Paesi industrializzati, di cui mira ad una riduzione del 5%. Stiamo quindi parlando di un fattore che è praticamente trascurabile, mentre l'informazione prevalente mira a far credere che con il protocollo di Kyoto si stia affrontando il problema del cambiamento climatico. Questa, a mio modo di vedere, è semplicemente disinformazione. Va tutto bene, dunque, senza bisogno di far nulla? Non dico questo, ma non fare nulla è meglio che fare la cosa sbagliata, così come non dare risposte è meglio che dare risposte sbagliate. Occorre soprattutto accrescere le conoscenze, per evitare che gli scenari continuino a basarsi su macroscopiche lacune informative e quindi che decisioni prese in assenza di dati affidabili finiscano per risolversi in benefici nulli e costi certi. I dubbi della scienza non possono essere sostituiti con finte certezze. Non dimentichiamo che per ottemperare il protocollo di Kyoto i costi previsti per la sola Italia ammontano a circa 50 miliardi di Euro, 100.000 miliardi di vecchie lire per i prossimi dieci anni. Bibliografia |